Ecco la seconda parte dell’intervento “Appartenenza tra desiderio e Anankè” tenuto dal dott. Gaetano Sisalli, presidente di Spazio Imago alle giornate IAT “Gruppi, luoghi e appartenenze” svoltesi a Siena dal 18 al 20 Maggio. Nel caso in cui vi foste persi la prima parte potete leggerla cliccando questo link .

 

Appartenenza tra attaccamento e affiliazione

Il Bisogno di appartenenza è stato inserito da Maslow nella sua famosa piramide dei bisogni in cui mette il bisogno di appartenenza al terzo posto tra i l bisogno di sicurezza e quello di  stima.

Lichtenberg nella sua teoria motivazionale pone il sistema di affiliazione insieme a quello dell’attaccamento e lo descrive come un processo in cui nel corso dello sviluppo si organizzano legami attraverso ripetute sintonizzazioni affettive, imparando a “stare con l’altro” e allo stesso tempo a individuarsi, differenziandosi dall’altro.

Lichtenberg considera l’affiliazione al gruppo come un’estensione dell’attaccamento. L’appartenenza al gruppo si afferma prima a livello familiare e in seguito si estende ai gruppi sociali. In adolescenza si realizzano poi le tensioni dinamiche fra appartenenza alla famiglia a affiliazione ad altri gruppi.

Liotti nella sua teoria evoluzionistica della motivazione distingue l’attaccamento dall’affiliazione e  pone l’attaccamento come un adattamento darwiniano ( nello specifico come soluzione creativa alla neotenia cioè il mantenimento prolungato di caratteristiche infantili dopo la nascita) mentre pone l’affiliazione come pennacchio evoluzionistico ( cioè un effetto collaterale di adattamenti evolutivi che  connette i vari adattamenti) . Sia l’attaccamento che l’affiliazione  si trovano, per Liotti,  su un piano evoluzionistico intermedio su una scala a tre livelli  dove al primo livello troviamo le funzioni del tronco encefalico al secondo livello quelle dell’archipallio ( l’ippocampo) e al terzo livello quelle del neopallio .

In buona sostanza sul piano evolutivo mentre l’attaccamento deriverebbe dal sistema di difesa, l’affiliazione si evolverebbe dal precedente sistema territoriale ( la tana, il nido) e connetterebbe altri sistemi sociali.

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Secondo Liotti, che riprende studi di vari ricercatori , il sistema di affiliazione connette:

  • il sistema agonistico ( introducendo variazioni rispetto all’aggressività ritualizzata )
  • il sistema di attaccamento ( introducendo variazioni rispetto ai comportamenti di attaccamento e accudimento che consentono per esempio di estendere questi comportamenti a più membri del gruppo oltre che madre e figlio)
  • il sistema sessuale (introducendo variazioni rispetto ai comportamenti di legame sessuale con la possibilità di andare oltre la coppia sessuale)
  • il sistema di cooperazione ( introducendo variazioni nella cooperazione e nel gioco sociale per cui si passa dal gioco a due individui a quello a più individui, come passare dal tennis al calcio).

L’appartenenza che possiamo individuare come un aspetto della motivazione affiliativa è pertanto un processo che probabilmente  ha origine nel sistema agonistico con il successivo riconoscimento  di un dominante che consente al gruppo di perseguire un obiettivo comune. In seguito la dimensione della cooperazione e quindi dell’intersoggettività consentirà il realizzarsi della motivazione affiliativa e quindi dell’appartenenza: quando questo sistema si organizza come sistema per gli scambi tra i membri del gruppo emerge la possibilità di uno sviluppo ulteriore come la nascita del NOI che si aggiunge al senso dell’IO.

 

Appartenenza e inconscio non rimosso

Ciò che mi interessa far rilevare in questa ipotesi  di Liotti , in accordo con le più recenti scoperte neuroscientifiche , è il fatto che questi elementi evoluzionistici sono presenti nel nostro Sistema Nervoso Centrale come elementi che precedono la coscienza con le emozioni che li caratterizzano. Nel corso dello sviluppo questi elementi possono essere rappresentati nella coscienza o rimanere inconsci non nel senso dell’inconscio rimosso di Freud ma come inconscio non rimosso (che in parte coincide con la memoria implicita della psicologia cognitiva).

L’ipotesi è che solo una parte di ciò che organizza i sistemi motivazionali arriva alla coscienza e attraverso l’esperienza intersoggettiva  viene codificata in espressioni verbali e quindi mediata dal linguaggio. Da ciò deriverebbe il fatto che le influenze culturali e le esperienze individuali interverrebbero sulla coscienza, cioè sull’ultimo livello evolutivo,  senza alterare comunque il fondamento evoluzionistico e universale su cui la coscienza poggia.

A partire da queste ipotesi il bisogno di appartenenza se soddisfatto arriva alla coscienza con il suo bagaglio di emozioni e diventa desiderio che a sua volta può essere realizzato o rimosso .

 

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Se il bisogno di appartenenza non viene soddisfatto o è soggetto a eventi traumatici non ci sarà la possibilità che questo trovi espressione nella coscienza cioè nel neopallio  e in particolare nell’emisfero sinistro, ma rimane incarnato nell’archipallio  o nell’emisfero destro in un inconscio non rimosso, pre–verbale , pre-riflessivo . In quello che Bollas chiama inconscio ricettivo. Ci spostiamo da una teoria della memoria desiderante ad una teoria della memoria percettiva in cui non ci sono le classiche domande come posso ottenere di nuovo questo piacere? Come posso evitare questo dolore?

Nella dimensione della memoria percettiva il desiderio deve ancora nascere e lì che aspetta che si realizzi il bisogno per poter sorgere. Non c’è qualcosa che è indesiderato come nell’inconscio rimosso c’è qualcosa che aspetta di poter essere desiderato.

Ci troviamo nel bel mezzo di una necessità biologica evolutiva che se non realizzata non potrà mai avere rappresentazione nella coscienza.

 

Riconoscere l’appartenenza

A proposito dell’importanza dell’appartenenza alle origini culturali,  Summers in un suo scritto su Relational Transactional Analysis.Principles in pratice di Fowlie e Sills, riporta un’esperienza personale in cui riferisce che mentre parlava al suo terapeuta di un’esperienza dolorosa con un linguaggio caratteristico di un operaio del Nord dell’Inghilterra (come dire parlare ad un Milanese in stretto dialetto della provincia siciliana), questi si è mostrato accogliente manifestando in risposta al suo atteggiamento segni di tristezza sul suo volto. Questa accoglienza morbida lo ha aiutato ad ammorbidirsi a sua volta ed è stato importante successivamente nel suo lavoro personale pur non essendo mai verbalizzata esplicitamente.

Summers conclude dicendo che ciò che per lui è stato importante è stato il riconoscimento da parte del suo terapeuta della sua appartenenza alle sue origini culturali. E’ interessante il fatto che lui sottolinei, utilizzando le parole di Daniel Sternun tentativo di rendere esplicito questo momento di incontro soprattutto dopo che si è verificato potrebbe annullare alcuni dei suoi effetti”. (Stern 2004)

Egli scrive: “ Ritengo che la rimozione ha significati diversi a seconda che venga utilizzato la concettualizzazione dell’Io di Freud o quella di Fairbairn. Infatti all’interno di una cornice freudiana rimozione significa repressione dalla coscienza, mentre per Fairbairn la rimozione ha il senso della  rimozione dalla relazione. Quest’ultima cornice concettuale ci aiuta a distinguere tra i livelli di esperienze inconsce represse che potrebbero essere coscientemente recuperabili e quelle che potrebbero essere recuperabili relazionalmente attraverso il cambiamento nella conoscenza relazionale implicita ma non ancora disponibile alla consapevolezza esplicita. Il significato ulteriore del riconoscimento di un campo implicito non-conscio e relativo ad esperienze è che esso supporta la concettualizzazione dello stato dell’io Adulto espanso/in espansione

Questa condizione descritta da Summers rinvia all’importanza dell’empatia per costruire un senso di appartenenza.

L’empatia infatti nella dimensione relazionale si situa sul versante della comprensione e non su quello della spiegazione ha a che fare con una psicologia a due persone secondo la Stark. “Se una persona può essere capita lui o lei appartiene“ (Rogers).

“Quando uno capisce l’altro, entrambi appartengono a qualcosa di più grande e più inclusivo di entrambi individualmente “ (Tudor)

 

Una psicologia a più di due persone

In un articolo del sul Transactional Analysis Journal Tudor riporta alcune considerazioni di Angyal a proposito del concetto di omonomia che ha definito come la “tendenza a conformarsi, unirsi, partecipare e inserirsi in insiemi superindividuali”. Questa tendenza ad appartenere a qualcosa di più grande di sé è per Angyal una fonte di di motivazione profonda per il comportamento umano”. Anche Massey , in uno splendido e complesso articolo in cui tenta di rivisitare il concetto di psichiatria sociale dell’AT, afferma che “il sé ricerca sia l’autonomia che l’omonomia ….. nel gioco dinamico tra i bisogni di autonomia e omonomia , il sé e l’altro (gli ambienti interpersonali, sociali e fisici) esercitano un’influnza reciproca intrecciandosi tra di loro

Data l’importanza dei fattori del cliente e dei fattori extraterapeutici, e nel riconoscere un interesse per il contesto sociale della terapia, Tudor propone una quarta modalità di azione terapeutica nella formulazione fatta dalla Stark delle tre forme di psicologia , la psicologia a una persona a una persona e mezza e a due persone: Tudor propone una psicologia di più di due persone in cui viene riconosciuto  il significato e l’impatto di questi fattori extraterapeutici e del contesto sociale del cliente, del terapeuta e della terapia e della relazione empatica del terapeuta e del cliente con questi fattori.

A questo punto in AT dovremmo tentare di portare avanti le iniziali intuizioni di Berne rispetto ad un modello di psichiatria sociale uscendo dal riduzionismo successivo della psicologia individuale e recuperando una funzione culturale e politica della psicologia piuttosto che normalizzatrice e funzionale alle istituzioni.

 

Un inconscio geopolitico

Voglio allora ricordare  quanto afferma la Sironi che ci invita a prendere in considerazione nel nostro lavoro terapeutico un ulteriore inconscio di natura diversa rispetto all’inconscio freudiano: l’inconscio geopolitico. Per questa autrice il fattore geopolitico (migrazioni, violenza collettiva, coscienza postcoloniale, postmodernità) influisce sulle nostre soggettività  e si chiede come possiamo trattare, nelle soggettività postmoderne, le inevitabili lesioni narcisistiche o traumatiche causate da violenti riorganizzazioni geopolitiche o dalla ferocia del capitalismo finanziario e del bio-potere che si è esteso all’intero pianeta.

Secondo la Sironi le identità postmoderne sono caratterizzate da individui “normati” (o normopati: ammalati dalla norma) attraverso la sottomissione volontaria ai desideri di potere, inconsapevoli di essere manipolati.”L’esistenza degli esseri umani postmoderni è terribilmente accelerata, come se si unisse alla temporalità dei computer. Ciò causa varie patologie, tra cui stress, burnout, depressione esistenziale e disturbi del comportamento alimentare. Tutto ciò produce sempre più spesso un abbandono dell’interiorità.”

La costruzione delle identità  postmoderne non può essere ridotta all’azione dei soli determinanti intrapsichici. Considerando come l’inconscio geopolitico attraversa i nostri pazienti/soggetti, la soggettività apre prospettive molto arricchenti per noi. Nella costruzione dell’identità degli individui postmoderni, il collettivo.

La dimensione geopolitica ha lo stesso peso di altre determinanti che siamo abituati a conoscere meglio, cioè, quelli intrapsichici e relazionali.

Il benessere individuale allora non può essere dissociato da quello collettivo e il benessere sociale di questa o quella comunità non dipende  da scelte economiche e finanziarie ma  riguarda concetti come appartenenza cooperazione, cultura condivisa.

Concludo con una storia tratta dal famoso testo di Yalom sulla terapia di gruppo.

Un rabbino stava conversando con Dio sul paradiso e l’inferno.” Ti mostrerò l’inferno”, disse il Signore,  E condusse il rabbino in una stanza che conteneva un gruppo di persone affamate e disperate sedute intorno a un grande tavolo rotondo.  In mezzo al tavolo c’era un enorme pentola di stufato che sarebbe stato più che sufficiente per tutti. Il profumo dello stufato era delizioso e fece venire l’acqualina in bocca al rabbino,  e tuttavia nessuno mangiava.  Ogni commensale teneva in mano un cucchiaio con manico abbastanza lungo da poter raggiungere la pentola e tirare su una cucchiaiata di stufato,  ma troppo lungo per portare il cibo alla bocca. Il rabbino vide che la loro sofferenza era davvero terribile E chinò la testa con compassione.”Ora ti mostrerò il paradiso”, disse il Signore, ed entrarono in un’altra stanza, identica alla prima, con lo stesso tavolo rotondo, la stessa enorme pentola di stufato, gli stessi cucchiai dai lunghi manici . Tuttavia , C’era allegria nell’aria E tu ti apparivano ben nutriti,  paffuti ed esuberanti. Il rabbino non riusciva a capire  E guardo il Signore.”Semplice” disse il Signore”Ma richiede una certa capacità: Vedi, le persone che sono qui hanno imparato a imboccarsi reciprocamente”.( Yalom 1995 pag 29-30)