Durante il periodo natalizio, sfogliando le notizie che scorrono sulla “news feed” ho notato che moltissime testate italiane e internazionali riportano con sensazionalismo l’introduzione del Gaming disorder (traducibile come “disturbo da videogiochi”) nell’ultima bozza della Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (ICD) giunta alla sua undicesima edizione, nella sezione “Disturbi dovuti all’uso di sostanze o da comportamenti che danno dipendenza”.
Mi sono chiesto cosa ci fosse di così tanto clamoroso essendo già presente sul Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) quinta edizione, nella sezione “Condizioni che necessitano di ulteriori studi”, la proposta di un “Disturbo da gioco su internet”.
Approfondendo quanto scritto sulla bozza dell’ICD è stato inoltre aggiunto, nella sezione dedicata ai “fattori che influenzano lo stato di salute”, sottosezione dedicata ai problemi comportamentali, “Hazardous gaming” (traducibile con “giocare ai videogiochi in modo pericoloso”). Questa è la vera novità. Per comprendere il contesto, l’ Hazardous Gaming si trova all’interno della sezione dei fattori che influenzano lo stato di salute insieme a problemi correlati all’uso di sostanze, gioco d’azzardo, tabacco, alla prolungata esposizione al sole, mancanza di esercizio fisico ecc..
La descrizione è la seguente:
“Hazardous gaming refers to a pattern of gaming, either online or offline that appreciably increases the risk of harmful physical or mental health consequences to the individual or to others around this individual. The increased risk may be from the frequency of gaming, from the amount of time spent on these activities, from the neglect of other activities and priorities, from risky behaviours associated with gaming or its context, from the adverse consequences of gaming, or from the combination of these. The pattern of gaming is often persists in spite of awareness of increased risk of harm to the individual or to others.”
Si riferisce a una modalità di gioco, online o offline che aumenta il rischio di conseguenze dannose per la salute fisica e mentale dell’individuo o di coloro i quali lo circondano. Esse sono derivate principalmente dalla frequenza del gioco, dal tempo speso e dalla negazione di altre attività e priorità. SI accenna anche ad alcuni comportamenti a rischio associati all’uso di videogiochi. Il comportamento, prosegue l’ICD, avviene nonostante la consapevolezza dell’aumento dei rischi derivanti dall’assunzione.
L’entità diagnostica proposta dal DSM è in gran parte assimilabile al “Disturbo da videogiochi” proposto dall’ICD, con la significativa differenza che quest’ultimo prende in considerazione anche i videogiochi off line. Entrambe le entità sono derivate dal costrutto teorico delle “addictions”, che semplificando si può dire essere la base psicologica sottostante alle dipendenze comportamentali o da sostanze. Fin qui nulla di eclatante, da anni si discute della possibilità di inserire comportamenti videoludici disfunzionali all’interno delle “addictions”.
Rivoluzionario è invece il costrutto di “Hazardous Gaming”. Partendo dal presupposto che la messa in atto massiccia, prolungata e continuativa di un qualsiasi comportamento può portare a conseguenze negative per la persona e, a volte, anche per coloro che la circondano, i videogiochi similmente all’attività fisica, all’esposizione al sole o all’eccessivo lavoro risultano essere pericolosi solo se occupano gran parte della nostra giornata, ma non sono considerabili rischiosi di per sé, anzi.
Guardare qualche episodio di una serie tv non è pericoloso, lo diventa quando questo comportamento occupa tutto o la gran parte del nostro tempo. Continuando con questo esempio, pur essendo il fenomeno “serie tv” maggiormente diffuso tra la popolazione, non è stato inserito all’interno della bozza dell’ICD. Non posso fare a meno di chiedermi perché questo sia avvenuto dato che, come il videogiocare problematico, il cosiddetto “binge watching” insiste sulla stessa fascia di popolazione, includendo anche coloro i quali non hanno mai maneggiato un “controller”.
Alcune considerazioni
Azzardando un’ipotesi credo che ciò possa essere riconducibile a più fattori, tra i quali un certo allarme sociale per gli effetti negativi dei videogiochi sul comportamento, smentito dalla ricerca scientifica che nel corso degli ultimi anni ha indagato il legame tra il giocare ai videogiochi e un aumento del comportamento aggressivo o deviante senza trovare evidenze incontrovertibili. La relazione risulta molto lasca, se non addirittura inesistente nella maggior parte della letteratura scientifica sull’argomento.
Un altro fattore è probabilmente connesso al fatto che, chi conosce clinicamente il fenomeno, si è da tempo reso conto che la cosiddetta dipendenza da videogiochi non è altro che un paravento sintomatologico che nasconde, dietro il sipario del comportamento problematico, altri disturbi presenti da molto tempo sui manuali diagnostici. Si “sceglie” il sintomo “videogioco” perché in possesso di alcune caratteristiche peculiari che facilitano il raggiungimento di un particolare stato o in quanto comportamento immediatamente accessibile fin dai primi anni di vita, almeno a partire dalla fine degli anni 80 o ancora per altre ragioni meno evidenti dell’accessibilità. Se ci si dovesse immediatamente focalizzare sul sintomo nel trattamento di questo disturbo, si potrebbe assistere ad un viraggio sintomatologico permanendo comunque gli effetti negativi sul funzionamento della persona.
E allora il problema non è tanto il videogioco di per sé o la tv o lo shopping o guardare materiale pornografico, quanto piuttosto quello che porta la persona a impiegare tutto, o quasi, il suo tempo in queste attività. A questo si unisce la deriva iperdettagliante che hanno assunto i manuali diagnostici, il cui compito è anche di assicurare che un disagio psichico rilevante venga trattato utilizzando i fondi della copertura assicurativa. Altro elemento da considerare sono le diagnosi sempre più centrate sul sintomo che spesso non considerano cosa e come ha portato la persona al punto di occupare la maggior parte del proprio tempo assumendo un determinato comportamento.
I videogiochi fanno male?
Estremizzando, come spesso succede, il rischio è quello di considerare di per sé il videogioco come qualcosa che “faccia male” aumentando le preoccupazioni verso coloro i quali utilizzano questo mezzo d’intrattenimento. Mi riferisco soprattutto agli adolescenti che spesso, tipicamente per la fascia d’età, attuano massivamente alcuni tipi di comportamenti. Questa modalità normalmente scompare con l’ingresso nell’età adulta.
La chiave di lettura potrebbe essere quella di considerare il comportamento come non pericoloso, ma degno d’attenzione, nel caso in cui esso non provochi ripercussioni sulla vita socio-relazionale, sul rendimento scolastico e in generale sulle attività tipiche della fascia d’età che vengono svolte durante l’arco della giornata.
Il gioco, come affermava Huizinga in “Homo Ludens”, è un atto libero. Quando viene meno questa caratteristica e sopraggiunge la compulsione o la voglia di fuggire dalla realtà, lì diviene patologico.
Buon gioco a tutti.